PMI e mercati esteri: quali scenari

Negli ultimi anni il mondo imprenditoriale ha dovuto fare i conti con un progressivo intensificarsi della competizione a livello globale e la conseguente necessità di sviluppare strategie atte a fronteggiare tale fenomeno e coglierne le opportunità emergenti. Gli imprenditori e i top-manager sono impegnati nel salvaguardare la competitività aziendale di fronte all’estendersi dell’ambito concorrenziale, il che si traduce nella stringente necessità di intraprendere percorsi di internazionalizzazione, a fronte di strategie aziendali ripensate in una dimensione competitiva nuova e in costante ridefinizione. Tali strategie comprendono la definizione di forme di presenza estera confacenti alla dimensione e alle caratteristiche proprie delle piccole e medie imprese. Come si può facilmente intuire, il processo di internazionalizzazione delle PMI si svolge in maniera affatto diversa rispetto ad un grande gruppo industriale. Per quest’ultimo, l’azione di approccio dei mercati esteri è realizzata sulla base di un ingente investimento e sotto la guida di strategie precise; una piccola e media azienda deve, invece, affidarsi all’iniziativa di potenziali clienti, intermediari, o, in alcuni casi, alle proprie risorse interne, prive di una reale visione programmatica e strategica.

Come osserva Carlo Russo, consulente per l’internazionalizzazione aziendale, proprio questa condizione di partenza impone ad una PMI, che intenda affrontare un percorso di business estero, di considerare una diversa strutturazione del consiglio di amministrazione, aprendolo all’apporto di competenze specializzate e indispensabili per far fronte alle singole situazioni e prendere decisioni strategiche. La concorrenza transnazionale richiede un insieme di competenze funzionali al tentativo di replicare il successo conseguito in patria anche all’estero e che eccedono quelle “originali” dell’azienda. Afferma, su questo punto, Carlo Russo che “ci vuole una Governance specializzata: figure esperte all’interno dei consigli di amministrazione, meglio se consiglieri indipendenti. Questa è l’arma che permette all’internazionalizzazione di avere successo”.

L’individuazione di clienti esteri in grado di far decollare il progetto di internazionalizzazione non può che avvenire in virtù di una competenza specialistica del mercato di riferimento, di una visione lungimirante degli obiettivi, dell’individuazione delle priorità su attività e mercati e, aspetto tutt’altro che secondario, di una rete di relazioni consolidate. Sottolinea il manager fiorentino: “Quando ci si relaziona con gli stakeholders internazionali, più che avere un “prodotto”, è meglio avere un “portfolio di opportunità” di Made in Italy. Il capitale relazionale è la risorsa più importante per una azienda che vuole competere”.

Questo capitale relazionale rappresenta la risorsa primaria che consentirà di negoziare soluzioni soddisfacenti per i propri e gli altrui interessi, comunicare in maniera efficace la propria visione e difendere la propria posizione.

Come per ogni altra risorsa aziendale, la costruzione di un patrimonio relazionale esige, per la propria costruzione, un investimento di risorse e tempo. L’ingresso nel consiglio di amministrazione di una figura come quella di un esperto in internazionalizzazione rende disponibile, da subito, questo valore aggiunto, garantendo all’azienda, più che il semplice accesso nei confronti di un potenziale cliente (possibile per tutti), una opportunità di ascolto, cosa molto più rara e preziosa.

Diversi studi empirici confermano che l’esito della performance estera delle PMI è strettamente legato alla presenza di risorse umane qualificate, in grado di scongiurare l’eventualità che i CDA prendano decisioni sul tema senza essere in possesso di conoscenze adeguate a farlo.  Acquisire partecipazioni in società straniere, esportare prodotti, penetrare in mercati internazionali, richiede il superamento di una serie di barriere che impediscono la semplice adozione di un modello sperimentato in patria, obbligando le aziende a recepire, in modo continuo e progressivo, le differenze di tipo economico, politico, sociale e culturale esistenti tra i differenti Paesi. Alla luce dell’esistenza di tali barriere, è possibile affermare che l’internazionalizzazione commerciale e produttiva dipendono in maniera diretta dalla capacità delle imprese di adattarsi al contesto in cui operano. Questo rilievo mette in evidenza come, tra le risorse determinanti per il conseguimento degli obiettivi legati al progetto di business internazionale, un rilievo decisivo è attribuibile alla conoscenza. Intendendo, con questo termine, un bagaglio professionale con un alto grado di specializzazione, che metta l’azienda nelle condizioni di svolgere tutta una serie di azioni imprescindibili, al fine di ad aprire nuovi canali per il raggiungimento di obiettivi di medio e lungo termine.

Il mutato quadro economico attuale pone all’insieme delle imprese italiane delle sfide, che possono essere vinte sulla base di alcuni elementi chiave.

Il primo di questi elementi è la salvaguardia di un modello di impresa italiano costituito da un diffuso tessuto di piccole e medie imprese, che incarnano un forte tratto identitario, capace di assicurare un vantaggio competitivo. Questo sarà possibile solo vincendo la storica riluttanza ad assumere manager esterni alla proprietà, per poter avere accesso alle competenze necessarie a un processo di internazionalizzazione. È un dato ormai acquisito, infatti, che, proprio nelle imprese di ridotte dimensioni, il capitale umano si impone come fattore selettivo per il passaggio al mercato internazionale, in grado anche di ovviare alle eventuali imperfezioni a livello finanziario e organizzativo della struttura aziendale.